Le fonti di Dante
Dall'XI e XII secolo la cultura esce dai monasteri e si diffonde nell'ambiente urbano, nelle scuole e nelle università. Il libro serve per conservare informazioni, per apprendere e scambiare testi letterari e scientifici, per tenere i conti dei mercanti. Mentre nell'antichità scrivere era opus servile, in questi secoli diviene una tecnica, di cui l'artigiano è depositario e responsabile. La stampa sarà inventata solo nel XV secolo: ora i libri sono codici manoscritti, opera di copisti chierici e laici. Dal XII secolo la pergamena viene sostituita dalla carta, le grafie sono svariate e poco uniformi (carolina, mercantesca, corsiva, testuale ecc.). I codici sono di diverso formato: dai grandi "libri da banco" ai piccoli, cari al Petrarca.
Agli scriptoria dei monasteri, si affiancano quelli universitari, i cui committenti sono professori e studenti. Le nuove tecniche di riproduzione si fondano sul sistema delle peciae che sono fascicoli ricopiati in serie e affittati agli studenti. Sorgono botteghe di amanuensi privati (40 a Milano secondo Bonvesin della Riva), ma spesso i lettori copiano da soli i libri che desiderano possedere.
Si formano così le biblioteche monastiche, universitarie, di grandi signori e di privati cittadini.
Dagli epistolari conosciamo le biblioteche di Petrarca e di Boccaccio, ma nulla sappiamo di quella di Dante che possiamo recuperare solo dalle citazioni contenute nelle sue opere.