Ovidio - Metamorfosi

introduzione


I 15 libri, composti dal 2 all'8 d.C.,costituiscono un grande poema epico in esametri che raggruppa una serie di storie indipendenti, accomunate da uno stesso tema: la trasformazione, la dotta ricerca della cause, l'amore nell'universo del mito.

L'opera già ben nota in età carolingia godrà di grande fortuna nei secoli XII e XIII, definiti per questo aetas ovidiana.

 Tra le circa 250 vicende narrate nel corso del poema, alcune sono esplicitamente ricordate nel Purgatorio dantesco come exempla morali o con intento descrittivo.

citazione

Purg.9, 19 - 24


Ovidio, Metam. X,155-161: Ganimede


Orfeo ha definitivamente perduto la moglie Euridice e ora vaga per le contrade della terra, portando ad uomini ed animali il suo canto meraviglioso: canterà i fanciulli amati dagli dèi e le fanciulle che, arse da passioni proibite, furono punite per la loro lussuria.


"Rex superum Phrygii quondam Ganymedis amore
arsit, et inventum est aliquid, quod Iuppiter esse,
quam quod erat, mallet. Nulla tamen alite verti
dignatur, nisi quae posset sua fulmina ferre.
Nec mora, percusso mendacibus aëre pennis
abripit Iliaden; qui nunc quoque pocula miscet
invitaque Iovi nectar Iunone ministrat."

"Ci fu una volta che il re degli dèi si infiammò d'amore per il frigio Ganimède, ed ebbe l'idea di trasformarsi in una cosa che, una volta tanto, gli parve più bella che essere Giove: un uccello. Ma fra tutti gli uccelli, non si degnò di trasformarsi che in quello capace di portare i fulmini, le armi sue. Detto fatto: battendo l'aria con false penne, rapì il giovinetto della stirpe di Ilo, ed egli gli riempie tuttora i calici e gli serve il nèttare, con rabbia di Giunone."


Purg.9, 13 - 15


Ovidio, Metam. VI, 421-674 Progne e Filomela


Atene era minacciata da stranieri giunti dal mare che assediavano pericolosamente le sue mura.  Dalla Tracia giunse Tereo con un ingente esercito, sgominò i nemici di Atene e il re della città, Pandìone, in segno di gratitudine gli diede in sposa la figlia Progne.

Ma le nozze furono celebrate sotto cattivi auspici: vi parteciparono solo le Furie, reggendo fiaccole sottratte a un funerale e un gufo immondo si posò sul tetto della camera nuziale. I due sposi, nella loro reggia di Tracia, ebbero un figlio, Iti e ne ringraziarono gli dei.

Cinque anni più tardi, Progne chiese al consorte di poter rivedere almeno la sorella.  Il marito per accontentarla si imbarcò alla volta di Atene.  Qui, salutato il suocero, ecco che vide la cognata e s'infiammò come se uno appiccasse il fuoco a spighe secche  o incendiasse frasche ed erbe riposte in un fienile.  Lei è splendida, è vero,  ma lui  è stimolato anche da una innata libidine, ché la gente di quelle regioni è incline alla lussuria.

Convinse perciò il suocero a lasciar partire la figlia minore.   Il padre raccomanda al genero l'incolumità di Filomela, gli affida i saluti per la figlia lontana e le preghiere perché torni presto e non gli faccia soffrire la solitudine. Poi singhiozza come preso da un angoscioso presentimento.

Il viaggio si conclude rapidamente; i marinai tornano subito verso le loro case e Tereo, senza attendere oltre, nel buio, trascina la giovane cognata in una stalla nel bosco e la violenta.  Quando la vittima torna in sé,  rampogna lo sciagurato e trova la forza di ribellarsi e di minacciare.

Il crudele re a queste parole è preso dall'ira e dalla paura non minore dell'ira. Spinto dall'una e dall'altra, sguaina la spada, agguanta Filomela per i capelli, le torce le braccia dietro la schiena e a forza la incatena. Filomela protende la gola, lui afferra con una tenaglia la lingua che protesta e gliela mozza con la spada spietata.

Il perfido re di Tracia si presenta poi alla moglie Progne in attesa della sorella e la inganna raccontandole  una falsa storia sulla morte di Filomela.  Progne se ne dispera. Nel frattempo Filomela, prigioniera e muta, escogita un espediente che avrà successo: su tela bianca denuncia il crimine con un ricamo a caratteri porporini e affida il lavoro a una donna che lo porti alla regina. Costei non fiata, ma pensa a vendicarsi. Durante la festa triennale in onore di Bacco, la regina, travestita da seguace del dio libera la sorella e, dopo aver incontrato il suo giovane figlio, Iti, così simile al padre nel volto, concepisce la folle vendetta.

...  E' un delitto la bontà con un marito come Tereo! 

Le due sorelle uccidono il fanciullo, fanno a pezzi le sue membra. Questa pietanza imbandisce la moglie a Tereo che nulla sospetta. “Assiso alto sul trono avito, lui, Tereo, pasteggia e ammucchia nello stomaco la carne della propria carne; e la sua mente è tanto ottenebrata  che dice: " Fate venire Iti " ....  Progne esclama: "Quello che chiedi lo hai dentro!"

Con un grande urlo il re di Tracia rovescia la tavola, e invoca le sorelle dalle chiome di vipere, che vengano dalla valle dello Stige, e ora vorrebbe squarciarsi il petto per ributtarne fuori lo spaventoso cibo, i visceri ingoiati, ora piange e chiama se stesso, sepolcro miserabile del figlio.

Ora con la spada sguainata insegue  le figlie di Pandìone.


vv. 667 - 674 Metamorfosi di Progne, Filomela e Tereo.


Corpora Cecropidum pennis pendere putares:
pendebant pennis! Quarum petit altera silvas,
altera tecta subit; neque adhuc de pectore caedis
excessere notae, signataque sanguine pluma est
Ille dolore suo poenaeque cupidine velox
vertitur in volucrem, cui stant in vertice cristae,
prominet inmodicum pro longa cuspide rostrum:
nomen epops volucri, facies armata videtur.

“Diresti che i corpi delle discendenti di Cècrope si librino su delle ali:  si librano su delle ali! Una, si dirige verso il bosco; l'altra s'infila sotto il tetto, e dal suo petto ancora non sono svaniti i segni dello scempio: ha uno spruzzo di sangue sulle piume. Tereo, correndo veloce per il dolore che lo attanaglia e per la sete di vendetta, si trasforma in un uccello che ha una cresta dritta sul capo e uno smisurato becco che sporge come una lunga lancia.  Upupa è il  nome di questo uccello; a vederlo sembra armato.”


Purg.9, 1 - 6


vv. 421-422: Aurora


La discendente di Pallante, l'Aurora, si lagna perché il marito suo è troppo vecchio; (Queritur veteres  Pallantias annos coniugis esse sui;)

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