I 15 libri, composti dal 2 all'8 d.C.,costituiscono un grande poema epico in esametri che raggruppa una serie di storie indipendenti, accomunate da uno stesso tema: la trasformazione, la dotta ricerca della cause, l'amore nell'universo del mito.
L'opera già ben nota in età carolingia godrà di grande fortuna nei secoli XII e XIII, definiti per questo aetas ovidiana.
Tra le circa 250 vicende narrate nel corso del poema, alcune sono esplicitamente ricordate nel Purgatorio dantesco come exempla morali o con intento descrittivo.
Purg.12, 43 - 45, Metam. Libro VI, 129 - 145 Aracne
Aracne, donna di umile stirpe, sfidò Minerva in una gara di tessitura. La figlia di Giove dipinse con i fili multicolori la maestà degli dei, la mortale scelse invece di narrare sulla tela gli inganni dei celesti: gli amori di Giove, di Febo, di Bacco e di Saturno.
Il lavoro di Aracne risultò senza difetti, ma la vendetta della dea sfidata fu ugualmente terribile.
“Non illud Pallas, non illud carpere Livor
possit opus. Doluit successu flava virago
et rupit pictas, caelestia crimina, vestes;
utque Cytoriaco radium de monte tenebat,
ter quater Idmoniae frontem percussit Aracnes.
Non tulit infelix laqueaque animosa ligavit
guttura; pendentem Pallas miserata levavit
atque ita “Vive quidem, pende tamen, improba” dixit
“lexque eadem poenae, ne sis secura futuri,
dicta tuo generi serisque nepotibus esto”.
Post ea discedens sucis Hecateidos herbae
sparsit, et extempla tristi medicamine tactae
defluxere comae, cum quis et naris et aures,
fitque caput minimum, toto quoque corpore parva est;
in latere exiles digiti pro cruribus haerent,
cetera venter habet, de quo tamen illa remittit
stamen et antiquas exercet aranea telas.”
“Nulla Pallade, nulla l'Invidia avrebbe potuto riprendere in quest'opera. Spiacque l'esito alla bionda guerriera e stracciò la tela con le malefatte degli dei; e avendo in mano la spola in legno del monte Citoro, tre quattro volte colpì la fronte di Aracne idmonia.
L'infelice non resse e di slancio si pose in un cappio.
Pallade ne ebbe pietà nel vederla appesa e la sostenne: “Vivi, infame” le disse “ma resta appesa, e l'identica pena, affinché tu non sia in pace per il futuro, tocchi alla tua stirpe e a tutti i tuoi discendenti!”
Detto questo la spruzzò con un succo di erbe infernali e subito, al tocco del funesto intruglio, i capelli svaniscono e con essi il naso e le orecchie, la testa rimpicciolisce, tutto il corpo si riduce; dai fianchi al posto delle gambe spuntano esili dita, il resto è pancia: ma di qui essa rimette il suo filo e, da ragno, torna a tessere tele come una volta.”