E' probabile che Dante conoscesse Cicerone più come retore e filosofo che come oratore, dagli esempi usati nelle scuole di retorica, più che con la lettura integrale delle opere.
Quello di Oreste e Pilade è un esempio classico di amicizia vera e disinteressata: i veri amici sanno sacrificare la loro vita per salvare la persona cara.
Purg.13, 31
Il passo è contenuto nell'opera filosofica di Cicerone De finibus bonorum et malorum, libro V, 63. La moralità, dice Cicerone, è visibile in germe come naturale istinto (haec honesta ... a natura tamquam adumbrantur).
“Qui clamores vulgi atque imperitorum excitantur in theatris, cum illa dicuntur:
Ego sum Orestes, contraque ab altero: Immo enimvero ego sum,inquam, Orestes!
Cum autem etiam exitus ab utroque datur conturbato errantique regi: ambo ergo una necarier precamur, quotiens hoc agitur ,ecquandone nisi admirationibus maximis? Nemo est igitur quin hanc affectionem animi probet atque laudet qua non modo utilitas nulla quaeritur sed contra utilitatem etiam conservatur fides.”
Quali applausi strappano in teatro a gente del volgo e senza cultura quei famosi versi: ”Io sono Oreste!” E l'altro ribatte: ”No, davvero, lo ripeto, Oreste sono io!” E poi quando entrambi al re dubbioso e turbato danno come unica via d'uscita questa soluzione: ”Dunque entrambi preghiamo di morire insieme”.
Quante volte si rappresenta questa scena! E quando mai non ci sono gli applausi più grandi! Non c'è chi non approvi e lodi questo sentimento che non solo non chiede alcun vantaggio, ma conserva la fedeltà all'amico contro il proprio tornaconto.