Publio Papinio Stazio, napoletano, visse tra il 40 e il 96 d.C. Le sue opere, Tebaide e Achilleide, prendono come modello l'Eneide di Virgilio, ma anche lo stile di Ovidio, Lucano e Virgilio per i moduli narrativi e per il disegno dei caratteri.
La prima narra in 12 libri la guerra fratricida tra Eteocle e Polinice, figli di Giocasta, per il potere su Tebe.(“la doppia tristizia di Giocasta”in Purg.XXII,55-56).
Se ne ritrovano echi nell'Inferno dantesco, in particolare nei Canti di Capaneo (10) e di Ulisse (26).
L'Achilleide è invece un poema incompiuto, che vorrebbe narrare tutta la vita di Achille colmando le lacune di Omero, ma si interrompe al verso 167 del II canto: narra quindi solo l'infanzia e la fanciullezza dell'eroe. La madre Teti, per salvarlo dalla guerra di Troia in cui dovrà perire, lo porta a Sciro dove, travestito da donna, entrerà nel chorus puellarum.
Ecco i versi in cui il fanciullo si sveglia, stupito e spaventato, in un luogo a lui estraneo: